Dal 27 luglio, una nuova tariffa del 15% sulle merci europee dirette negli Stati Uniti ha sollevato non poche preoccupazioni tra i produttori italiani. Anche se il tasso è inferiore al 30% inizialmente previsto, le ripercussioni per il settore agroalimentare potrebbero essere gravi. Stiamo parlando di un impatto diretto sulle esportazioni di vino, olio, pasta, formaggi e riso, che ogni anno valgono ben 7,8 miliardi di euro. L’accordo tra Bruxelles e Washington, che prevede l’acquisto di 750 miliardi di dollari in energia americana e investimenti per 600 miliardi, lascia però in sospeso il futuro degli alimenti italiani. Cosa ci riserverà il futuro?
Le ripercussioni del nuovo dazio
I produttori italiani temono che l’assenza di esenzioni chiare possa tradursi in un aumento dei costi e, di conseguenza, in un impatto negativo su filiere, posti di lavoro e investimenti. Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VéGé, ha commentato la situazione sottolineando che i dazi sono una costante nel commercio internazionale. “Non è una novità”, ha dichiarato. “Alcuni prodotti, come i formaggi, già subiscono tariffe simili. Se il 15% venisse confermato, potrebbe essere visto come un miglioramento rispetto a situazioni precedenti”. Ma è davvero così semplice?
Nonostante ciò, l’Europa è sembrata un po’ troppo affrettata nell’accettare questa soluzione, temendo misure più severe da parte degli USA. La differenza di tono nei comunicati ufficiali delle due parti suggerisce una chiusura frettolosa dell’accordo. Santambrogio ha evidenziato l’importanza di lavorare su categorie specifiche, soprattutto per i prodotti italiani di alta qualità, come il Parmigiano Reggiano e l’olio extravergine, che necessitano di trattamenti privilegiati per evitare il rischio dell’Italian Sounding. Ma quanto è concreto questo rischio?
Le prospettive per il settore agroalimentare
L’Italian Sounding rappresenta una minaccia tangibile per le aziende italiane. I consumatori americani, infatti, sono attratti dai prodotti autentici, ma spesso si trovano costretti a optare per imitazioni. Santambrogio avverte: è fondamentale agire in modo mirato per preservare l’integrità del marchio italiano e garantire che i consumatori americani abbiano accesso a prodotti di alta qualità. “Non ha senso pensare a ristori pubblici per compensare dazi che ricadono sugli importatori americani”, ha aggiunto, sottolineando l’inadeguatezza di tale approccio in un contesto non emergenziale. E quali potrebbero essere le soluzioni?
Le aziende italiane devono adattarsi a questi nuovi scenari. Nonostante le preoccupazioni sulla possibile reazione del mercato, Santambrogio non prevede un crollo occupazionale nel settore agroalimentare. “Le aziende hanno ancora margini per ottimizzare le vendite nel mercato interno e cercare sbocchi alternativi”, ha affermato, dimostrando una certa fiducia nelle capacità del settore di affrontare le sfide attuali. Ma è sufficiente questa fiducia per superare le difficoltà?
Il futuro della grande distribuzione
Un altro tema caldo è l’uscita del marchio Carrefour dall’Italia, che ha sollevato interrogativi sulla stabilità del panorama della grande distribuzione. Santambrogio ha osservato che stiamo vivendo un periodo di trasformazione radicale nel settore, caratterizzato da acquisizioni e cambi di proprietà. “È un momento in cui si assiste a una vera e propria riorganizzazione della distribuzione”, ha commentato, ponendo l’accento sull’importanza delle economie di scala e delle sinergie. Ma quali saranno le conseguenze per i consumatori?
Questo dinamismo, secondo Santambrogio, è il risultato di un processo di concentrazione inevitabile, simile a quanto avvenuto nel settore bancario. La continua evoluzione del mercato alimentare suggerisce che ulteriori movimenti significativi potrebbero verificarsi entro la fine dell’anno, rendendo il settore sempre più competitivo e in continua trasformazione. Siamo pronti ad affrontare queste sfide?