Abercrombie & Fitch, un marchio che in passato era sinonimo di status e esclusività, ha intrapreso una trasformazione radicale per affrontare le sfide culturali e sociali degli ultimi anni.
Fondata nel 1892 come negozio di articoli sportivi per l’alta società americana, l’azienda ha costruito la propria reputazione su un’immagine di avventura e bellezza. Ma cosa è successo negli anni ’90? Sotto la guida del CEO Mike Jeffries, il marchio ha preso una direzione completamente diversa, rivolgendo il suo focus agli adolescenti e trasformando l’acquisto di abbigliamento in una questione di appartenenza sociale.
Le origini e il successo degli anni ’90
È il 1992 quando Mike Jeffries assume la direzione di Abercrombie & Fitch e decide di puntare dritto su un pubblico molto specifico: i giovani americani, in particolare i “cool kids” delle scuole superiori. Che strategia ha adottato? Una marketing aggressivo e sessualizzato, con campagne pubblicitarie che sembravano uscite da una rivista di moda per adulti. I negozi stessi si trasformano in veri e propri club esclusivi, con musica ad alto volume e un’atmosfera che invita al desiderio giovanile. Ma il prezzo di questa strategia si rivela alto, e non solo in termini economici.
Abercrombie inizia a ricevere accuse di discriminazione e razzismo, con storie di assunzioni basate su criteri di bellezza e pratiche aziendali tossiche. La cultura di esclusività che inizialmente ha portato al successo inizia a mostrare le sue crepe. Nel 2014, con le crescenti critiche e le pressioni esterne, Jeffries si dimette. Ma perché un marchio che sembrava invincibile è crollato? La risposta è semplice: il mondo stava cambiando.
Il declino e le critiche
Un tempo simbolo di bellezza e status, Abercrombie inizia a subire un forte declino. Le cause legali si moltiplicano e le testimonianze di ex dipendenti rivelano una realtà inquietante. Non è più considerato un marchio per tutti, ma piuttosto un simbolo di elitismo e superficialità. Con l’arrivo degli anni 2010, il pubblico inizia a chiedere inclusività, rappresentazione e sostenibilità. Ti sei mai chiesto come un marchio possa cambiare così radicalmente in così poco tempo?
Il documentario di Alison Klayman su Netflix offre uno sguardo critico sulla storia di Abercrombie, rivelando come l’immagine scintillante del marchio fosse in realtà una facciata per nascondere una cultura aziendale profondamente selettiva. Un ex dipendente sottolinea: “Abercrombie vendeva un sogno, ma era un sogno tossico, irraggiungibile per la maggior parte delle persone.” Questo ci porta a riflettere: cosa significa realmente appartenere a un marchio?
La trasformazione e il futuro del marchio
Nel 2014, la nuova CEO Fran Horowitz inizia una trasformazione radicale del marchio. Abercrombie decide di abbandonare l’immagine elitista per abbracciare l’inclusività. La comunicazione diventa più autentica e meno sessualizzata, e il marchio inizia a diversificare i propri modelli e le taglie disponibili. Questo cambiamento non è solo estetico, ma anche operativo: l’azienda adotta un sistema di gestione dell’inventario agile, riducendo gli sprechi e adattandosi meglio alla domanda del mercato.
Nel 2023 e 2024, Abercrombie registra crescite significative nelle vendite, segnando un ritorno in grande stile. L’azienda non dimentica il proprio passato; anzi, lo analizza e lo utilizza come base per costruire un futuro più etico e inclusivo. Come riporta il Financial Times, il nuovo Abercrombie conquista i consumatori non più attraverso l’esclusione, ma grazie all’autenticità e alla rilevanza culturale.
Oggi, la storia di Abercrombie & Fitch funge da monito per l’intera industria della moda. La lezione è chiara: non essere “cool” può rivelarsi molto più rivoluzionario che cercare di esserlo a tutti i costi. Un’etica inclusiva e sostenibile è il vero stile che non passa mai di moda. E tu, che cosa ne pensi? Riuscirà Abercrombie a mantenere questo nuovo corso, o il passato tornerà a bussare alla sua porta?